6 luglio 2019 L’intervista a Carola Rackete

Talvolta servono azioni di disobbedienza civile per affermare diritti umani e portare leggi sbagliate di fronte a un giudice.

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“Ho abbattuto il muro voluto dai sovranisti ma non sono un’eroina Alla mia generazione dico: non state seduti”

dall’inviato de La Repubblica Fabio Tonacci

Sa cosa dice Matteo Salvini di lei? Che è una sbruffoncella comunista, criminale e pirata.

«Non mi sorprende, l’ho querelato per questo. E l’ho denunciato per istigazione a delinquere. I sovranisti sono tutti uguali: distorcono i fatti e li trasformano in opinioni. Le loro opinioni».

Dice anche che lei è ricca e figlia di papà.

«Bugie. Mio padre è in pensione e lavorava in una compagnia che produce giubbotti antiproiettile. Mia madre fa parte di una piccola ONG legata alla Chiesa, si occupa dei detenuti e viene regolarmente insultata per questo. Quando ero teenager dovevo lavorare se volevo andare in vacanza».

Farebbe salire sulla Sea-Watch il ministro italiano? Magari cambia idea su di voi.

«Non possiamo».

Perché?

«Abbiamo una regola molto rigida: niente razzisti a bordo».

La Capitana è sempre la Capitana.

Anche adesso che, sorridendo, mette la caffettiera sul fornello, risponde alle mail degli amici dal suo pc con gli adesivi di Greenpeace, Sea-Watch e Rise for Afrin (la città curda), cammina nella cucina a piedi scalzi, indossa un vestito finalmente colorato. La 31enne Carola Rackete è così, non scende mai dalla nave.

Neanche in questa casa in una località che lei non vuole si riveli dove la ONG tedesca l’ha nascosta per evitare l’assedio di telecamere, curiosi, sostenitori, contestatori.

Repubblica l’ha incontrata. «Sto bene, riesco pure a dormire. Piano piano sto realizzando la grandezza di ciò che abbiamo fatto con la Sea-Watch 3».

E cosa avete fatto?

«Abbiamo abbattuto un muro. Quello innalzato in mare dal Decreto sicurezza bis. Siamo stati costretti a farlo. Talvolta servono azioni di disobbedienza civile per affermare diritti umani e portare leggi sbagliate di fronte a un giudice. In Germania sappiamo bene che ci sono stati dei periodi bui in cui i tedeschi seguivano leggi e divieti che non andavano bene: solo per il fatto che qualcosa è legge non vuol dire che sia una buona legge».

Per aver abbattuto quel muro l’hanno arrestata.

«Però poi l’ordinanza della giudice di Agrigento ha smontato le accuse e anche il decreto Salvini. Non sono una scafista, non abbiamo mai avuto contatti con i trafficanti libici e lo dimostreremo. Se il vostro ministro vuole parlare di crimini, allora forse potrebbe dire che tutta l’Unione Europea è complice di alcuni reati».

Quali?

«Finanziare la guardia costiera libica, per esempio. E respingere i naufraghi verso un Paese in guerra che viola i diritti umani».

Torniamo ai diciassette giorni. Quando ha capito che non sarebbe stato un caso come gli altri?

«Appena siamo giunti sul limite delle acque territoriali, a Lampedusa. Ci hanno fatto sbarcare undici persone, poi mi è arrivata una mail con il testo del decreto entrato in vigore, e alle due di notte i finanzieri sono saliti e mi hanno fatto firmare l’atto di divieto di ingresso. Era tutto molto strano».

Secondo i p.m. di Agrigento, non avevate un effettivo stato di necessità, perché i casi medici gravi li avevate fatti scendere, in più finanzieri e guardiacoste salivano spesso sulla Sea-Watch 3 per controllare.

«Non hanno mai parlato con i naufraghi, né con i nostri dottori. Non avevano psichiatri che potessero valutare lo stato mentale del gruppo».

La notte dell’attracco di forza a Lampedusa… ma perché non ha aspettato qualche ora? L’accordo politico sulla redistribuzione dei migranti tra cinque Stati si stava per sbloccare.

«Erano solo voci, e le sentivamo da quattordici giorni. Anche i parlamentari italiani a bordo mi dicevano che la soluzione era vicina, ma si sbagliavano. A quel punto ho smesso di credere ai rumors. Ho valutato la situazione sul ponte e i report medici, la linea rossa era superata: non potevo più garantire la salute e la sicurezza dei migranti».

I parlamentari hanno avuto un ruolo nella sua scelta?

«No. Hanno partecipato al briefing in cui ho informato l’equipaggio che avrei attraccato di lì a poco. Sembravano sorpresi, non capivano. Comunque non hanno provato a fermarmi».

Si aspettava l’opposizione fisica della motovedetta?

«No, perché era molto rischioso. Quando ho girato la Sea-Watch per avvicinarmi al molo pensavo che i finanzieri si sarebbero spostati. Ho provato a evitarli con una manovra, ma dal ponte di comando non vedevo bene la motovedetta. È stato un errore di valutazione, l’impatto poteva essere evitato: non sarebbe avvenuto se non fossi stata così stanca. Non dormivo da giorni, venivo svegliata ogni ora, perché c’era sempre qualcosa da decidere sulla nave».

Secondo la giudice di Agrigento lei stava obbedendo al dovere di salvare i naufraghi e portarli in un porto sicuro. È un dovere che giustifica qualsiasi cosa?

«Quasi. Per fare un salvataggio non puoi mettere in pericolo la sicurezza del tuo equipaggio e la stabilità della navigazione».

Mai un dubbio, quando si è ritrovata agli arresti?

«No, non ho sbagliato ad entrare nel porto e nelle acque territoriali. L’unico errore è stata la collisione, nata dalla fatica. Comunque rifarei tutto quello che ho fatto, perché era il mio dovere».

Come ha fatto a tenere a bada i nervi del suo equipaggio?

«Abbiamo un portafortuna chiamato “It”. È un unicorno di peluche che si muove lungo un filo appeso sul ponte di comando. Gli abbiamo messo anche un mantello da supereroe. Con quello riuscivamo a trovare occasioni per scherzare».

E coi migranti?

«Ero troppo occupata con le carte, le comunicazioni, le manovre. Il ragazzi di Sea-Watch, invece, li conoscevano uno per uno, con nome e cognome. Solo così siamo riusciti a evitare il panico».

Adesso cosa farà?

«Aspetto qui l’interrogatorio di Agrigento (fissato per il 9 luglio, n.d.r.), poi tornerò a Berlino. Devo capire come gestire tutto il clamore e questa involontaria popolarità».

Sa di essere diventata un simbolo?

«Lo sto percependo, sì. Ho visto le mie foto ovunque, i graffiti, lo striscione a Notre Dame. Ma non mi sento un’eroina. Spero che ciò che ho fatto sia di esempio per la mia generazione: non dobbiamo stare seduti ad aspettare, non siamo costretti ad accettare tutto nel silenzio e nell’indifferenza. Possiamo alzarci in piedi, possiamo fare qualcosa, usare il cervello e il coraggio. Se ci sono dei problemi, facciamo qualcosa di concreto per risolverli”.

I suoi genitori cosa le hanno detto?

«Erano preoccupati, ma non troppo. Sono abituati a vedermi fare cose che altri non fanno. Mio padre è un conservatore, abbiamo idee molto diverse: per lui, ad esempio, i turchi di seconda generazione che nascono in Germania non sono veramente tedeschi. Ma quando si parla di gente che muore in mare non hanno dubbi, sono fieri della mia scelta».

Cose che altri non fanno tipo salire su una rompighiaccio a 23 anni?

«Durante l’università potevo fare un anno di pratica e io l’ho fatta in una compagnia che gestiva le rompighiaccio da ricerca nell’Atlantico e nel Mediterraneo. È stata anche una sfida perché fare l’ufficiale di navigazione su navi così non è semplice. Mi ripagavano i tramonti eccezionali e gli ambienti suggestivi. Dopo la laurea mi hanno offerto un lavoro. Amo navigare perché è una professione di grande autonomia e responsabilità, ti porta a studiare meteorologia, economia ed altro. Lavori ogni giorno per due o tre mesi, consegni la nave e poi molli. Nessuno ti chiama più al telefono».

Una donna al timone. Andava bene a tutti?

«Ovviamente no. Dicevano che non potevo fare lo stesso lavoro degli uomini, mi guardavano con superiorità perché ero femmina e avevo i capelli rasta. In realtà io non sono una punk, né un’estremista: provengo dalla middle class tedesca, il mio ambiente è accademico. Ho amici in molte università. Sulla Sea-Watch 2, invece, la prima nave in cui ho fatto la capitana, il sessismo non esiste».

Ma chi è davvero Carola Rackete?

“Sono un’ambientalista convinta, atea e cittadina europea. Giro il mondo da quando ho 23 anni. Non mi sento particolarmente tedesca, sto in Germania appena un mese all’anno. Siamo cresciuti con l’idea dell’Unione Europea, e troppo spesso ci dimentichiamo quanto sia importante quest’istituzione. Dovrebbe essere ancora più integrata, così gli Stati sarebbero costretti ad accettare la redistribuzione dei richiedenti asilo, invece di fare quei balletti ridicoli. Alle ultime Europee ho votato per Yanis Varoufakis».

Secondo lei tutti i migranti, i richiedenti asilo e quelli definiti “economici”, possono venire in Europa?

«Anche chi scappa dalla fame e dalla mancanza di opportunità ha diritto a un futuro».

Un politico che le piace?

«La danese Margrethe Vestager, fino a oggi commissaria europea per la concorrenza. Mi piace come lotta contro i colossi Apple e Facebook per forzarli a pagare tutte le tasse in Europa».

Lei è interessata alla politica?

«Tutti devono esserlo, perché influenza le nostre vite. Sono preoccupata dai toni che usa Matteo Salvini, dal modo in cui esprime le sue idee che violano i diritti umani. È pericoloso, ma è tutta la destra radicale e sovranista che è così, dall’Ukip inglese all’Afd tedesco. A maggio in Sassonia c’è stata una sfilata di nazisti, in uniforme. È terribile che accada in Germania, oggi».

Sempre in viaggio, cosa c’è nel suo zaino?

«Una tenda, un sacco a pelo, pochi vestiti, e un notebook per leggere i libri».

Ultimo libro che ha letto?

«The pattering instinct, di Jeremy Lent. Spiega le differenze tra la cultura occidentale e quella cinese, e perché i cinesi abbiamo una visione della vita come conflitto perenne con la natura».

Dicono che lei è un’ambientalista come Greta Thunberg.

«Faccio parte del gruppo inglese Extinction Rebellion, che lotta contro i cambiamenti climatici. Greta sta provando veramente a cambiare le cose, lo vedo dalle reazioni che suscita tra studenti, genitori, professori, società civile».

Ma anche lei non prende l’aereo perché inquina troppo?

«Tendo ad evitarlo quando posso, sì. Sono andata in Cina in treno, per dire».

Ma c’è un posto nel mondo che lei chiama “casa”?

«No».

Carola Rackete è ora libera, dopo aver compiuto il suo dovere

La solidarietà internazionale l’ha sostenuta

La Giudice delle Indagini Preliminari Alessandra Vella del Tribunale di Agrigento ha rigettato il 2 luglio 2019 la richiesta di applicazione di misura cautelare richieste dal P.M. e ha ordinato la liberazione immediata di Carola Rackete.

La positiva decisione è contenuta in un articolato provvedimento di 13 pagine che prende in esame i fatti dal momento in cui il 12 giugno 2019 la Sea Watch 3 ha raccolto 53 naufraghi da un gommone fermo in mezzo al mare a circa 100 chilometri dalla costa delle Libia,  fino all’entrata nel porto di Lampedusa il 29 giugno.

La GIP nella sua conclusione ha scritto che “l’insussistenza del reato di cui all’art. 1100 del Codice della Navigazione e, quanto al reato di cui all’art. 337 c.p., l’operatività della scriminante di cui all’art. 51 del c.p.,  giustificano la mancata convalida ed il rigetto della richiesta di applicazione di misura cautelare personale.”

La GIP ha infatti affermato che Carola ha agito conformemente alla previsione di cui all’art 51 c.p. che esime da pena colui che abbia commesso il fatto per adempiere ad un dovere impostogli da una norma giuridica e da norme internazionali che l’ordinamento giuridico italiano incorpora.

Tra queste norme richiamiamo innanzitutto questi due articoli della DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI del 10 dicembre 1948:

 Articolo 13
2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.

Articolo 14
1. Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni.

La GIP ha ritenuto di richiamare anche le Convenzioni UNCLOS/SOLAS/SAR che impongono al comandate di una nave di prestare assistenza alle persone che si trovino in pericolo e di condurle in un porto sicuro.

La GIP Alessandra Vella ha aggiunto nel suo dispositivo che l’attività di salvataggio dei naufraghi compiuta dalla capitana Carola della Sea Watch 3 deve considerarsi un adempimento degli obblighi derivanti dal quadro normativo richiamato.


Carola Rackete, capitana della nave Sea Watch 3, nella notte del 29 giugno 2019 in vista dell’isola di Lampedusa ha confermato la direzione da seguire.

English text below

Carola ha sentito l’obbligo morale di disobbedire alle leggi ingiuste.

La sua non è stata solo una direzione ma un esempio e un incoraggiamento per tutte e tutti coloro che lottano per una causa giusta.

Quando una legge è moralmente inaccettabile disobbedire violandola è un dovere, affermò M.K. Gandhi.

Carola ha difeso il diritto dei naufraghi forzando il blocco imposto dal governo italiano perché la sua nave trasportava 43 migranti indesiderati.

Carola ha seguito gli insegnamenti di tutte e tutti coloro che sono ispirati dalla disobbedienza civile.

Come disse Martin Luther King «Credo che esistano due tipi di leggi, quelle giuste e quelle ingiuste. Tutti noi abbiamo il dovere di obbedire alle leggi giuste e l’obbligo morale di disobbedire a quelle ingiuste. Perché non collaborare col male è un obbligo morale tanto quanto collaborare con il bene. Penso che la differenza sia che quando un uomo disobbedisce ad una legge che ritiene ingiusta, dovrebbe farlo pubblicamente, gioiosamente, amorevolmente, in modo civile e non incivile e dovrebbe farlo con l’intenzione di accettare la pena. Qualunque uomo che accetta una pena che ritiene ingiusta e rimane in prigione per risvegliare la coscienza della comunità riguardo l’ingiustizia della legge, sta esprimendo in quel momento il più alto rispetto per la legge

Ora Carola è stata arrestata.

Il Movimento No TAV, ispirato dagli stessi principi della disobbedienza civile, da trent’anni difende i diritti ambientali e le risorse pubbliche opponendosi alla realizzazione delle Grandi Opere Inutili e Imposte come la Torino-Lione.

Carola ha fatto la cosa giusta. Il Movimento No TAV ne chiede l’immediata liberazione.


The No TAV Movement is in solidarity with Carola Rackete

Carola must be freed now!

Carola Rackete, captain of the ship Sea Watch 3, confirmed the direction to follow on the night of 29 June 2019 in view of the island of Lampedusa.

Carola felt the moral obligation to disobey the unjust laws.

Her decision was not just a direction but an example and encouragement for all those who are fighting for a just cause.

When a law is morally unacceptable, it is a duty to violate it, said M.K. Gandhi.

Carola defended the right of the castaways, by forcing the blockade imposed by the Italian government because her ship was carrying 43 unwanted migrants.

Carola followed the teachings of all those inspired by civil disobedience.

As Martin Luther King said, I believe there are two kinds of laws, the right ones and the unjust ones. We all have a duty to obey the right laws and a moral obligation to disobey the wrong ones. Because not collaborating with evil is as much a moral obligation as working together for the good. I think the difference is that when a man disobeys a law he considers unjust, he should do so publicly, joyfully, lovingly, civilly and not uncivilly and should do so with the intention of accepting punishment. Any man who accepts a penalty he considers unjust and remains in prison to awaken the community’s awareness of the injustice of the law, is then expressing the highest respect for the law.

Now Carola has been arrested.

The No TAV Movement, inspired by the same principles of civil disobedience, has been defending environmental rights and public resources for thirty years, opposing the realization of Unnecessary and Imposed Mega Projects such as the Turin-Lyon Tunnel.

Carola has done the right thing. The No TAV Movement calls for her immediate release.