la parabola di una giornalista dinchiesta passata dalla difesa dei diritti dei cittadini alla Voce di un Padrone


Cara Milena,

ci avevi abituati bene, ci eravamo affezionati al tuo modo di comunicare.

La tua esile figura, la tua calma, la tua determinazione erano la tua cifra.

I tuoi racconti erano rassicuranti perché trasudavano il coraggio di denunciare, di raccontare storie agli italiani che nessun altro era capace di fare.

Come la Pizia, sacerdotessa di Apollo, tu Milena svolgevi un ruolo quasi divino perché rivelavi il non svelabile, tutto ciò ti ha conferito un prestigio e una posizione elevata tra i tuoi colleghi giornalisti, fronteggiando una cultura politico-affaristica italiana, truffaldina, corruttrice e mafiosa.

Gli obblighi che ti era assunta erano la purezza rituale, la credibilità, l’autorevolezza, la sobrietà.

Per vent’anni Report è stato il tuo tempio, la tua popolarità era tale che gli iscritti al M5S ti offrirono la candidatura a Presidente della Repubblica.

Nel 2017 la Rai ti abbandona, dicono che le tue richieste erano impraticabili, tu esci di scena piangendo in diretta.

Questa decisione lascia nello sconcerto i tuoi fedeli ammiratori.

La ferita che ricevi è difficile da rimarginare, quasi come quella di Achille che muore colpito al tallone da Paride.

Per non soccombere cerchi soccorso, e finalmente lo ottieni dal Corriere della Sera/La7.

Hai così riacquistato il palcoscenico al quale attori e sacerdoti tengono sopra ogni cosa.

Ma il prezzo che hai dovuto pagare è alto, leggendoti il 7 gennaio scorso e ascoltandoti il giorno dopo, hai confermato di non possedere l’indipendenza del passato, ora non sei più devota agli interessi popolari e alla verità ma a quelli delle élite.

Il 2019 si sveglia in un Paese allo sbando, con due governi e quindi nessun governo, con terremoti in agguato, senza futuro, terrorizzato dai migranti, pronto ad armare i cittadini, gli ultrà delle curve degli stadi invocano san Salvini affinché li salvi.

Il 7 gennaio tu Milena decidi di schierarti, è il compimento della missione che ti hanno affidato entrando al Corriere della Sera/La7, forse non l’avevi nemmeno presentito.

Ti hanno affidato una missione rischiosa, dimostrare l’indimostrabile, difendere ad ogni costo il valore delle Grandi Opere Inutili e Imposte salvare le imprese italiane che per decenni sono state foraggiate dallo Stato, quindi dai cittadini.

E lo fai come una scolara che, a corto di argomenti, copia di nascosto i suggerimenti che ti fanno arrivare Confindustria, il PD, Standard & Poor’s, i sindacati, i Governi, i tuoi ex nemici …

Cara Milena,

ora volgiamo il nostro sguardo al coraggioso passato di Report per confermare l’attuale sconcerto nel quale hai collocato i tuoi fedeli ascoltatori.

Report ha dato ampio spazio critico il 20 settembre 2001 alla Grande Opera  – L’Alta Velocità, ricordiamo anche la puntata Com’è andata a finire del 29 aprile 2002.

Il 23 ottobre 2011, otto anni fa, hai oracolato chiudendo la puntata di Report Alberto Perino c’è chi dice no, ecco le tue inascoltate parole valide ancora oggi:

Si può fare una considerazione: in un momento come questo ha più senso, è più logico, investire dei soldi per creare occupazione, oppure metterli in un tunnel che in futuro trasporterà più velocemente delle merci prodotte a Kiev o a Lisbona, ma non è detto. Perché se su quella tratta non ci sarà abbastanza traffico ferroviario i costi del finanziamento, cioè i 20 miliardi che servono per realizzare la Torino-Lione, li dovrà mettere lo Stato. Cioè i nostri figli che oggi sono disoccupati. Forse è il caso di rivedere l’intera questione oppure fornire elementi, informazioni più convincenti.

Ti salutiamo sconcertati, lasciandoti alla tua nuova solitudine.

Milena la Pizia diventa oggi la signora Gabanelli, Addetta Stampa del sistema delle Grandi Opere Inutili e Imposte

La Gabanelli diventa, otto anni dopo quelle sue alate parole, la Voce del Padrone e si schiera a favore delle Grandi Opere Inutili e Imposte.

Lo ha confessato a Enrico Mentana al Tg La 7 del 7 gennaio: “Mi sono trovata ad affrontare questo argomento (delle Grandi Opere, N.d.R.) dalla parte delle imprese” ed ammette “Faccio tanti errori, in buona fede”. Aspettiamo di conoscere il suo giudizio confidenziale su questa tua dichiarazione.

Grande è lo stupore dei cittadini avveduti perché gli argomenti che la Gabanelli ha offerto nel suo articolo del 7 gennaio 2019 sul Corriere della Sera sono il racconto della crisi di imprese di costruzione che per molti decenni hanno fatto profitti solo grazie ai sussidi dello Stato, una rendita parassitaria che ha fiaccato la loro capacità imprenditoriale di fronte alla concorrenza.

Si tratta con tutta evidenza di incapacità imprenditoriale, di capitani non coraggiosi che lamentano di non essere abbastanza assistiti dallo Stato.

Il presidente dei -prenditori Boccia è arrivato ad affermare il 3 dicembre a Torino, Città No TAV: “Dobbiamo proteggere i “nostri” Grandi Progetti dei Corridoi europei”.

Nella sua frase c’è la prova di un atteggiamento “predatore”. Come può considerare SUOI i progetti delle Grandi Opere quando nessuno degli -prenditori, anche tirato per le orecchie, investirebbe un solo euro nei progetti che Confindustria definisce “indispensabili per lo sviluppo del Paese” e dunque di sicuro successo?

La Gabanelli non si è accorta che Confindustria ha affermato che le infrastrutture sono e devono continuare ad essere il cardine delle politiche economiche, le grandi opere ci dovrebbero salvare da una nuova recessione ormai alle porte, visto che anche la locomotiva tedesca si è fermata?

La sua è ormai la Voce del Padrone, una difesa ad oltranza delle Grandi Opere Inutili e Imposte, senza argomenti, citando importi inesatti e dichiarazioni fuori della realtà: “Il settore delle costruzioni è quello che dà più lavoro”. Il vecchio dogma, oggi totalmente falso, che le infrastrutture siano volano per l’economia è ancora brandito quasi con ferocia.

La Gabanelli ha anticipato quello che Boccia ha detto a Firenze l’8 gennaio: “C’è uno studio dei costruttori che afferma che se si aprissero i cantieri per i 20 miliardi di risorse già stanziate, si creerebbero 400mila posti di lavoro”. Aspettiamo la dimostrazione di questa boutade.

La Gabanelli è stata usata da Confindustria a svolgere la parte di Addetta Stampa senza “conflitti di interessi” (come afferma Enrico Mentana) della squadra “Sì Grandi Opere” capitanata da Boccia e all’interno della quale troviamo Il Corriere della Sera, La7, La Repubblica, e altri media, le sette marionette di Torino, Giachino, Chiamparino, Fassino, i sindacati confederali, i partiti, associazioni di commercianti e artigiani e altri: una pura operazione di propaganda di Confindustria & C. a danno dei cittadini.

L’obiettivo urgente da abbattere, per Boccia e i suoi sodali, è l’opposizione alla Torino-Lione, una delle opere più ridicole che si potessero immaginare, che però ha trovato una forte e esemplare opposizione di cittadine e cittadini al servizio del bene comune, contro lo spreco di denaro pubblico, in difesa dell’ambiente, i quali meriterebbero un premio.

I No TAV sono l’obiettivo di Confindustria (e non solo), l’obiettivo strategico è distruggere il movimento più forte perché poi si mettano a cuccia tutte le centinaia di lotte territoriali che dilagano nel paese.

Constatiamo che la grande impresa italiana è diventata la grande parassita d’Italia, un mostro che divora risorse che potrebbero davvero rimettere in moto un meccanismo di redistribuzione della ricchezza per garantire le necessità vere di una società fatta di uomini e di donne, necessità che non sarebbero in contraddizione con il disastro ecologico in cui ci stanno conducendo questi stonati pifferai della crescita infelice.

Fa invero impressione che la parte di Confindustria composta da piccole e medie imprese, le associazioni di artigiani, commercianti, gli stessi sindacati confederali non si accorgano che questa politica di favorire solo i grandi progetti parassitari è la stessa che strangola tutti loro. Le grandi imprese ormai controllano e dirigono la distribuzione di appalti e subappalti e tutti coloro che lavorano poi concretamente nei cantieri sono stritolati da un meccanismo che garantisce profitti sicuri solo al vertice della piramide contrattuale.

In chiusura, ecco l’alternativa possibile suggerita da Alberto Ziparo, professore di pianificazione urbanistica, Università di Firenze: La più grande opera pubblica è la manutenzione dei territori e delle infrastrutture, ponendo l’ambiente e il paesaggio al centro di un programma che sia all’altezza delle sfide poste dal cambiamento climatico.